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Riunione Bce, costo del denaro tagliato allo 0,25% per evitare la deflazione. Analisi cause, obiettivi e spiegazione dei termini

BCEPer molti analisti la notizia era nell’aria, ma certamente rappresenta un evento storico. La Banca centrale europea nel primo pomeriggio di ieri, 7 novembre 2013, ha comunicato di aver tagliato di un quarto di punto (25 punti base) i tassi di interesse dell’area Euro. Il principale riferimento sul costo del mercato fa segnare il nuovo minimo storico: 0,25% contro il precedente 0,50%.

 

I DETTAGLI – Lo scoglio della deflazione aleggia ormai su tutta l’Europa e Mario Draghi ha deciso di intervenire cercando di allontanare questo spettro, superando la resistenza della Germania storicamente avversa ad un taglio dei tassi di interesse.

– Nel board di ieri, l’Istituto di Francoforte, ha deciso di tagliare di 25 punti base il refi, ossia il Tasso di interesse per le operazioni di rifinanziamento. Si tratta dell’interesse a cui devono sottostare le banche quando prendono in prestito denaro dalla Bce per superare, ad esempio, carenze di liquidità.

– Prima del 2012 non si era mai scesi sotto il 2%; il costo del denaro viaggiava tra il 4-5% del 2000/2001 e 2007/2008 ed il 2% del 2003/2006. Con Draghi e dal luglio del 2012 si è assistito ad una rivoluzione: tassi sotto l’1%, ridotti nello scorso mese di maggio allo 0,50% e, ieri, allo 0,25%.

– Ridotto sempre di 25 punti base, allo 0,75 rispetto al precedente 1%, il tasso per le operazioni di rifinanziamento marginali, mentre rimane fermo a quota 0 quello sui depositi custoditi per conto delle banche centrali.

 

IL MOTIVO DELLA  DECISIONE – E’ da diversi giorni che molti analisti erano concordi sulle aspettative di un taglio dei tassi di interesse della Bce. Il motivo va ricercato prevalentemente nella paura di un’ondata deflazionistica.

– E questo timore è supportato dai dati: l’inflazione dell’Eurozona, ad ottobre 2013, si è attestata allo 0,7%; release decisamente inferiore alle stime degli analisti (1,1%) ed al target della Banca centrale europea (2%).

– Tra i primi ad ipotizzare un taglio del costo del denaro troviamo Ubs che il 1° novembre affermava: “Alla luce dei nuovi dati sull’inflazione abbiamo cambiato idea circa le prossime mosse della Bce e ora ci aspettiamo un taglio dei tassi al prossimo meeting del 7 novembre”.

– Le parole di Draghi non lasciano spazio a potenziali equivoci. L’area Euro si sta incamminando “verso un prolungato periodo di bassa inflazione”, ma ha tenuto a ribadire che “c’è ancora spazio per i tagli”.

 

LA REAZIONE DEI MERCATI – Nonostante la decisione della Bce sia stata motivata con il rischio deflazione, in molti si attendevano la medesima misura per ridurre la posizione di forza su cui l’euro gravita da due mesi a questa parte.

– La reazione dei mercati è stata netta e decisa. L’euro, alla notizia, si è deprezzato velocemente andando ad infrangere al ribasso il supporto di 1,33 dal precedente 1,35 ed aggiornando i minimi dal 13 settembre scorso.

– Posizione di forza della moneta unica che però non sembra preoccupare il n°1 della Bce, Mario Draghi: “l’euro forte non ha giocato alcun ruolo nella discussione odierna” dal momento che i cambi “non sono un obiettivo della Bce, ma sono importanti per la crescita e la stabilità dei prezzi”.

– Con riferimento all’euro forte gli analisti sono di parere diverso. Moneta unica alle stelle significa minore competitività per le aziende dell’Eurozona che esportano al di fuori del territorio europeo. E minore competitività significa erosione di quote di mercato e di fatturato a favore di aziende extra-Eurozona.

 

LA BCE ED IL TARGET DEL 2% – Nel paragrafo dedicato alle motivazioni che hanno portato alla decisione, abbiamo fatto riferimento a due aspetti. Il primo è il target del 2% di inflazione che la Bce vuole perseguire ed il secondo è legato al timore deflazione. Ora ci occupiamo del primo punto.

– Come ben sappiamo, la Banca centrale europea è l’Istituto centrale che è incaricato di attuare la politica monetaria per i Paesi membri dell’Unione monetaria europea.

– Istituita il 1° giugno del 1998, ha iniziato ad operare il 1° gennaio del 1999 quando le funzioni statali di politica monetaria e di tasso di cambio sono state trasferite in seno all’istituto di Francoforte.

– Lo scopo della Bce, come significativamente espresso nei Trattati, è quello di mantenere sotto controllo l’andamento dei prezzi salvaguardando il potere d’acquisto nell’Eurozona. Questo significa controllo dell’inflazione affinché sia prossima al 2%, da perseguire attraverso politiche monetarie (come la riduzione dei tassi di interesse a cui abbiamo assistito nel pomeriggio di ieri).

– Molto spesso si sente parlare della grande influenza che la Germania riesce a dare alle scelte di politica monetaria alla Bce. Come mai? Il motivo è molto semplice. Il capitale sociale della Bce è sottoscritto e detenuto dalle Banche centrali nazionali dei singoli Paesi aderenti all’Euro.

– Ed analizzando il capitale sottoscritto si nota come la Bundesbank tedesca ne abbia una fetta largamente superiore (18,94%) rispetto, ad esempio, alla Banque de France (14,22%), o alla nostra Banca d’Italia (12,50%), piuttosto che al Banco de Espana (8,30%).

 

COSA SIGNIFICA DEFLAZIONE? – Veniamo ora al secondo punto. Il 31 ottobre l’Eurostat ha rilasciato i dati dell’inflazione di ottobre per l’area Euro evidenziando che la stessa si è attestata allo 0,7%; lettura decisamente inferiore rispetto all’1,1% preventivato ed al target del 2%.

– Cosa significa deflazione? In economia con questo termine si fa riferimento ad una riduzione generale del livello dei prezzi. E’ quindi l’esatto opposto dell’inflazione. Non si tratta di un rallentamento del tasso di inflazione, ma di un vero e proprio calo del livello medio dei prezzi.

– In un periodo di crisi economica, lo spauracchio della deflazione inizia a sorgere visto che la stessa è causata dalla debolezza della domanda di beni e servizi e, quindi, da una riduzione dei consumi di privati e delle aziende che attendono un ulteriore calo dei prezzi per acquistare generando un circolo molto vizioso e poco virtuoso dal momento che conduce le imprese ad un calo dei ricavi portandole a cercare di diminuire i propri costi (investimenti e costo del lavoro).

 

LA GRECIA: UN CASO “ATIPICO”? – Oltre alla nota e storica deflazione giapponese della fine degli anni Novanta, durata fino al 2006, e quella tedesca dell’estate del 2009, il caso più recente è quello che riguarda la Grecia.

– Il Paese ellenico è entrato in quel tunnel che da un lato vede il calo dei prezzi di beni e servizi e, dall’altro, porta i consumatori a rinviare gli acquisti alla ricerca di un prezzo migliore (alias, minore) nel futuro.

– La Commissione europea ha recentemente pubblicato i dati che testimoniano la deflazione greca: prezzi in calo dello 0,8% nel 2013 e dello 0,4% nel 2014, per poi salire di un timido 0,2% nel 2015. Lo stesso istituto europeo ha confermato che questo meccanismo è dovuto “alla debolezza della domanda e all’implementazione della riforma del mercato dei prodotti”.

 

E IL RESTO D’EUROPA? – La domanda viene scontata. Se la Grecia è entrata ufficialmente in deflazione, c’è un concreto rischio contagio anche nel resto dell’Eurozona?

– Da Bruxelles si affrettano a scongiurare questa evenienza: “No, la Grecia è in una situazione molto particolare. La sua economia sta subendo un importante aggiustamento per recuperare competitività e il calo dei prezzi è parte di questo processo. La Ue non prevede alcuni tipo di deflazione per qualsiasi altro paese dell’Ue nel 2013-15”.

– Certo è che se alla deflazione greca si aggiunge l’appello degli Usa rivolto alla Germania che starebbe esportando deflazione penalizzando l’intera Eurozona, viene più di un dubbio. Il Paese guidato dalla Merkel, infatti, esporta troppo (6,6%) e più di quanto permesso (6%) dal Mip (Macroeconomic imbalance procedure), mentre buona parte delle economie del sud-Europa sono addirittura in territorio negativo: la Grecia è al – 5,64%, la Francia al – 1,93%, la Spagna al – 2% e l’Italia al – 1,48%.

– Insomma. Dall’Europa si affrettano ad allontanare dialetticamente lo spettro deflazione, ma i dati sembrano spingere verso questo tunnel. La decisione di Draghi di ieri testimonia il pericolo e la preoccupazione.

 

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Matteo Torti

Foto: wikipedia.org

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