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Decreto salva banche Italia, cos’è e cosa comporta. Spiegazioni per tutti

EuroUn fatto che segna un’epoca, un decreto che rischia di stravolgere il sistema finanziario italiano e che crea un pericoloso precedente. Stiamo parlando del “Salva Banche” dove, per la prima volta in Italia, la risoluzione di quattro banche ha coinvolto in misura massiccia gli obbligazionisti. Azioni e obbligazioni interamente svalutate, che tradotto significa “carta straccia”, con una perdita del 100% per chi le ha sottoscritte. Un decreto passato in sordina complice il tema del terrorismo e del Giubileo, ma che vale la pena approfondire.

CERCHIAMO DI FARE CHIAREZZA SULLA VICENDA – Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cesena (Carife) e Cassa di risparmio di Chieti (CariChiesti). Sono queste le quattro banche in dissesto finanziario che hanno necessitato di una risoluzione.
– Una risoluzione in cui il Governo ha ricalcolato al millimetro la nuova legislazione europea in merito ai salvataggi bancari: nessun trattamento speciale per le quattro banche in dissesto e impossibilità ad utilizzare direttamente o indirettamente fondi pubblici per salvarle.
– Il Tesoro, la Banca d’Italia e le grandi banche italiane hanno definito un’operazione da 3,6 miliardi di euro che non tocca il alcun modo il denaro pubblico e con un meccanismo che di fatto va ad anticipare il “bail-in”, ossia il salvataggio interno che entrerà in vigore ufficialmente dal 1° gennaio prossimo e che in parte ricorre al caro e vecchio “bail-out”, il salvataggio esterno.
BAIL-IN E BAIL-OUT: DI COSA SI TRATTA? – Due termini apparentemente complicati, ma che nascondono un sistema molto chiaro. Il primo è un meccanismo di salvataggio interno, mentre il secondo fa riferimento ad attori esterni.
– Il primo, il bail-in, coinvolge direttamente i risparmiatori che nel caso del decreto Salva Banche si sono visti svalutare al 100% le proprie obbligazioni ed azioni che sono diventate carta straccia. Secondo i dati di Moody’s si tratta di 2 miliardi di euro di azioni e 788 milioni di euro di obbligazioni.
– Una volta che azioni ed obbligazioni hanno assorbito le perdite, i crediti delle vecchie banche vengono svalutati e trasferiti in una “bad bank”, una sorta di scatola per le sofferenze che ha l’obiettivo di vendere queste morosità a operatori specializzati al fine di recuperare altro denaro. Gli attivi delle vecchie banche, ossia le parti “buone”, vengono convogliate in nuove entità che hanno un capitale e una licenza necessari ad operare.
– E questa misura, seppur non preveda l’utilizzo di soldi dei contribuenti, viene chiamata di “bail-out” per la natura esterna del salvataggio, dal momento che le risorse arrivano da un fondo di risoluzione.
LA SVALUTAZIONE DEGLI OBBLIGAZIONISTI – Qual è, quindi, la gravità della vicenda? Come analizzato in un report redatto dalla società di rating Moody’s, è la prima volta in Italia che gli obbligazionisti subordinati subiscono un azzeramento del loro capitale.
– “Visto che molti investitori erano piccoli e privati, ciò potrà accrescere la consapevolezza della rischiosità dei meccanismi di risoluzione per gli obbligazionisti, irrigidendo ulteriormente la vendita di bond attraverso la rete di filiali a vantaggio dei depositi, maggiormente garantiti”.
– Nel caso in oggetto, stiamo parlando di 800 milioni di euro, di cui quasi 350 sarebbero nelle mani di piccoli investitori privati, soprattutto del Centro Italia.
LE OBBLIGAZIONI SUBORDINATE, COSA SONO E CHE DIRITTI OFFRONO – Il caso è sorto sulle spalle dei cosiddetti obbligazionisti subordinati; si tratta di tutti coloro che hanno acquistato bond subordinati che, al pari delle obbligazioni ordinarie, sono titoli rappresentativi di un debito che consentono a chi le acquista di vantare un credito nei confronti dell’istituto emittente, incassando periodicamente delle cedole, gli interessi.
– Rispetto alle obbligazioni ordinarie, però, quelle subordinate espongono i risparmiatori a un grado di rischio più elevato, molto vicino a quello di chi acquista un’azione; in caso di fallimento dell’istituto emittente, infatti, l’obbligazionista subordinato è considerato “creditore di Serie B” e i suoi diritti patrimoniali possono essere soddisfatti solo dopo aver risarcito altri soggetti coinvolti, come i dipendenti, i correntisti e i sottoscrittori dei bond ordinari.
UN FALLIMENTO PILOTATO – La creazione di una bad bank comune in cui far confluire le svalutazioni dei quattro istituti e la creazione contestuale di quattro nuovi istituti bancari che hanno ereditato dalle “vecchie” solamente le attività in salute.
– Un fallimento pilotato, come spesso accade in queste situazioni, che ha lasciato sul campo due categorie di vittime: 132mila piccoli azionisti (60.000 sono di Banca Etruria, 44.000 di Banca Marche, 22.000 quelli di CariFerrara e 6.000 di CariChieti) e 20mila possessori di obbligazioni subordinate che si sono trasformate all’improvviso in carta straccia.
– Un fallimento pilotato che non ha coinvolto altre categorie di obbligazionisti e i correntisti oltre 100mila euro. Due categorie che dal 1° gennaio, con l’introduzione del meccanismo di bail-in, potranno essere chiamati alle armi per salvare l’istituto oggetto di dissesto.
IL GOVERNO AL LAVORO PER TUTELARE I RISPARMIATORI – Dopo il caos legato al decreto Salva Banche, il Governo è già al lavoro per cercare di trovare delle soluzioni che possano tutelare i risparmiatori penalizzati, magari inserendo delle misure nella Legge di Stabilità.
– Le idee sono quelle di un credito d’imposta del 26% da scomputare dall’Irpef per recuperare le minusvalenze subite con azioni e obbligazioni azzerate, piuttosto che la costituzione di un apposito fondo per risarcire i piccoli risparmiatori.
L’EQUITA’ COME OBIETTIVO – E fa riflettere che il meccanismo di bail-in, il cosiddetto salvataggio interno, sia stato pensato e ideato proprio per evitare un’ingiustizia di fondo, ossia che il dissesto di una banca venga liquidato con soldi pubblici, spalmando su tutti i cittadini contribuenti il costo di questa operazione e, quindi, il costo degli errori dei manager degli istituti in questione.
– Così è stato fatto durante la crisi finanziaria, quando gli istituti in crisi sono stati salvati utilizzando soldi pubblici; sono stati quindi i contribuenti, inconsapevolmente, a pagare e a mitigare le politiche aggressive di manager e banchieri. Un processo che il bail-in vuole proprio evitare.
– Un obiettivo di equità; è questo l’obiettivo che ha guidato la nascita del bail-in. Un obiettivo senza dubbio corretto che ha però alla base un enorme punto debole: al centro ci sono gli interessi di privati, molte volte piccoli risparmiatori, che non hanno le conoscenze necessarie per valutare i reali rischi derivanti dal sottoscrivere un’obbligazione.

Matteo Torti

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