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Concerto Treves Blues Band sabato 4 luglio 2015 Carroponte Sesto San Giovanni. Intervista con il Puma

TREVES BLUES BAND -Foto BuganzaIl pioniere del blues in Italia, il Puma di Lambrate, il John Mayall de’ noantri, l’uomo che ha portato il blues alle masse… Insomma, chiamatelo un po’ come vi pare. Quel che è certo è che Fabio “Puma” Treves, 66 anni suonati, baffoni e treccia all’indiana sulle spalle, ruggisce ancora. E di attaccare l’armonica al chiodo non ne vuole proprio sapere. “Ogni anno ne parlo con mia moglie. Siano sempre lì lì per… Ma no, non so se ci riuscirei davvero, il contatto con la gente mi mancherebbe troppo. Tutt‘al più, anziché il padre del blues, prima o poi mi chiameranno il nonno del blues”, rassicura con la sua consueta sottile ironia.
– Reduce da una trionfale tournée (standing ovation al Teatro Sociale di Como e un tutto esaurito all’Auditorium di Milano) per i 40 della sua Treves Blues Band, il Puma si appresta a coronare questa prima metà del 2015 con un concerto – sabato 4 al Carroponte di Sesto San Giovanni, ore 21.30 – che ha già tutta l’aria dell’appuntamento imperdibile. Non solo per gli appassionati del blues. Ma per tutti gli amanti delle buona musica. Quella suonata da chi del mestiere di musicista ne ha fatto una ragione di vita. E un pezzetto di questa vita, Treves ce l’ha voluta raccontare – tra passato, presente e futuro – nel corso di una lunga chiacchierata. Lo ha fatto parlando a ruota libera e senza troppi peli sulla lingua. Ma, soprattutto, cosa non comune di questi tempi, senza prendersi troppo sul serio. Come solo i veri grandi artisti sanno fare.

Qual è il segreto del tuo successo? Cosa spinge la gente ad avere sempre una buona parola quando si parla di Fabio Treves?
“Forse il fatto che a 66 anni non ho mai dimenticato la mia partenza, i miei inizi difficili, contrassegnati dalla fatica. Per tutta una schiera di giovani musicisti sono orgoglioso di essere diventato un punto di riferimento. Molti di loro mi scrivono, mi fanno i complimenti. E rimangono sbalorditi quando rispondo via mail quasi in tempo reale. Ma è una disponibilità che non mi pesa. Amo i miei fans. E poi, credo che il musicista debba essere il miglior promoter di se stesso. Tutto questo, fortunatamente, viene molto apprezzato. Il fatto poi che faccia questo mestiere da quarant’anni credo la dica lunga”.

Già, 40 anni di carriera… Ti è mai stato proposto, in tutti questi anni, di avvicinarti a qualche genere più facile, più commerciale, che ti avrebbe magari garantito più fama?
“Assolutamente no. E ti dico anche il motivo: perché chiunque ha avuto modo di conoscermi, ora o in passato, ha subito capito che non mi sarei mai svenduto. Io sono questo, mi considero quasi un ex hippie, un analogico, se mi passi la parola… Vado ancora in giro con un vecchio telefonino a tastiera. Davvero, non sarei stato me stesso in un altro ruolo. La vedo anche come una forma di rispetto che ho sempre avuto per il mio pubblico”.

Fino a quando suonerai? Ti sei mai posto un traguardo o un limite?
“Mah, smettere dall’oggi al domani non avrebbe senso. Oltre al fatto che non so se ci riuscirei. Dopo i miei concerti la gente va ancora a casa contenta, felice, non annoiata… Il loro sguardo è impagabile. Praticamente, con alcuni di loro siamo cresciuti assieme. E ora ai miei concerti portano anche i loro figli. Fantastico. Quindi, fintanto che me la sentirò, farò concerti. Magari ne farò qualcuno di meno, il fisico non è quello dei 25 anni, si fa fatica… Ma finché ci sarà il mio pubblico a farmi capire che posso andare avanti, lo farò. Bisogna solo essere molto critici con se stessi e capire quando è il momento di smettere”

La prossima settimana suoni al Carroponte. Cosa ti aspetti da questo nuovo concerto?
“Mi aspetto una riconferma, chiaramente, dai miei fans. E magari che coloro che non sono riusciti ad entrare all’Auditorium a novembre (tutto esaurito) possano farcela questa volta. Ma soprattutto che quest’appuntamento del blues al Carroponte si possa riproporre anche nei prossimi anni. Purtroppo, molte esperienze degli anni passati, come il Blues in Idro, sono finite per varie ragioni. Ed è stato un gran peccato. Soprattutto per una splendida cornice come l’Idroscalo che appartiene ai milanesi e che ben si presterebbe a manifestazioni di questo tipo”.

A proposito di Milano, sei sempre molto legato a questa città…
“Tantissimo. Mi basta starle lontano per qualche giorno e già ne sento la mancanza. E’ la mia città, le sono legatissimo. Ho dei ricordi di questa città che ancora oggi mi emozionano. Milano che si svuotava l’estate, la Milano di Jannacci, la Milano di Gaber. Due amici che ora non ci sono più ma che hanno fatto grande questa città”.

Quali sono i luoghi che porti più nel tuo cuore?
“Senz’altro la zona dei Navigli, dove abitava il mio ‘blues brother’ di colore Cooper Terry che già 40 anni fa si era definito “el neghèr dei Navigli. Era veramente un personaggio. Ma anche la zona di Lambrate, dove c’erano le fabbriche per la cui sopravvivenza ho fatto anche concerti di solidarietà. Mi vengono in mente la Faema, l’Innocenti… E poi, seppur con altri e bassi, la zona del Parco Lambro. Non ultima, quella in cui vivo da tanto tempo, la zona adiacente la Stazione Centrale. Mi piacerebbe che tutti quei sottopassi sotto le ferrovie, tra le vie Sammartini e Ferrante Aporti, diventassero punti di riferimento per la musica. In realtà non ci son zone di Milano che non amo”.

Ti manca qualcosa della Milano della tua giovinezza?
“Altroché. Mi manca la Milano dei miei ricordi. L’uomo che pedalava e vendeva le mele candite e i croccantini, i materassai, l’ombrellaio e tutte quelle professioni che non esistono probabilmente più. Mi mancano le latterie. E’ una Milano che non c’è più ma lo capisco, si va avanti, per forza di cose. Ma anche in queste contraddizioni, tra Milano che scompare e Milano che si trasforma, sto bene. C’è forse troppa cementificazione e pochi parchi rispetto ad altre metropoli europee, ma questa città può anche avere il suo fascino”.

Tornando al presente, del panorama musicale attuale c’è qualcuno che ti piace, che consiglieresti anche al tuo pubblico a prescindere dal genere?
“Mi piacciono tante persone in realtà. Tra gli stranieri in assoluto amo gli Ac-Dc. Poi, i Foo Fighters, i Green Day, gli Aerosmith e tanti, davvero tanti altri. In realtà ascolto anche altri generi musicali oltre al blues. Magari ora farò drizzare i capelli in testa a qualcuno, ma credo che una delle artiste più brave degli ultimi anni sia Lady Gaga. La trovo straordinaria, intensa, musicalmente preparata e dotata. Per quanto riguarda l’Italia, i numeri uno a livello musicale sono Elio e le Storie Tese. Davvero tutti straordinari, dal primo all’ultimo componente del gruppo. Sono persone autentiche, oneste e vengono da una super super gavetta. Ma mi piacciono anche tutti coloro che mi hanno chiamato e con i quali ho deciso di suonare l’armonica: da Finardi, a Branduardi a Dj-Ax. Proprio con quest’ultimo ho partecipato ad alcune incisioni. A dimostrazione del fatto che ho una mente aperta a tutti i generi. Amo le commistioni”.

E dei talent show tanto di moda cosa ne pensi?
“Credo di essere stato uno dei primi ad esser stato contrario. Credo sia sbagliato il concetto di fondo che inculca nei giovani un’idea sbagliata: tu ‘sei’ perché hai vinto contro un altro. Non ci siamo. Tu ‘sei’ perché sai suonare bene la musica che fai. Punto. Invece, nei talent vincono le interpretazioni migliori rispetto a quelle di qualcun altro. Si tratta solo di competizione, altro che talento. Mi sembra un modo davvero errato di interpretare il talento. Preferisco la buona vecchia gavetta. Si corrono anche meno rischi di finire nel giro di neanche un anno nel dimenticatoio, come invece accade a molti partecipanti di queste nuove trasmissioni. Qualcuno ce l‘ha fatta, ma molti son quasi scomparsi”.

Non temi che le nuove generazioni rischino di allontanarsi dal mondo del blues?
“Tutt’altro. Ci sono molte new entry che hanno ereditato la mia filosofia di vita e stanno facendo lo stesso lavoro di diffusione del blues che ho fatto io per molti anni. So di molti giovani che vanno a suonare nei posti più diversi organizzando rassegne di blues un po’ ovunque. Credo non esista un genera che come il blues possa contare su tante rassegne e festival. Ogni regione ne è piena proprio grazie a questi giovani che portano avanti questa missione”.

E la missione del Puma continua, s’è detto. Sabato 4 luglio, sul palco del Carroponte di Sesto San Giovanni, oltre agli storici componenti della band Alex Kid Gariazzo e Massimo Serra, è già stata confermata la presenza di Guitar Ray & Gab D come special guest. L’appuntamento è alle 21.30, costo del biglietto 10 euro. Affrettatevi, il treno del blues sta per ripartire.

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Intervista a Fabio Treves: 40 anni di Treves Blues Band raccontati a CronacaMilano

S.P.

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