Segnalazioni dei cittadini

Occupazioni case Aler Milano, la drammatica intervista ad un abusivo

casa popolareFranco – lo chiameremo così – è un cittadino italiano di 29 anni, disoccupato, sposato e con tre bimbe a carico. Una delle piccole, purtroppo, è sordomuta e, come se non bastasse, soffre anche di un grave ritardo mentale. Per questo motivo, ai sensi della legge 104/92, le è stata riconosciuta un’invalidità del 100%, grazie alla quale i suoi genitori beneficiano di 240 euro di pensione mensile. Una cifra che, sommata allo stipendio della mamma, porta il reddito familiare a superare di poco i 700 euro. Una miseria. E così, nel 2006, Franco ha presentato regolare domanda al Comune di Milano per ottenere un alloggio popolare. Un’abitazione per cui, anche in virtù della presenza di un disabile in famiglia, avrebbe avuto diritto alla precedenza. Ma così non è stato. E allora, la soluzione rimasta è stata una sola: occupare.

 

“NON ABBIAMO AVUTO ALTRA SCELTA CHE OCCUPARE “ – “Viviamo in cinque persone con quel po’ che riusciamo a racimolare io e mia moglie. Per quanto riguarda la casa, non abbiamo davvero avuto più altra scelta”, ci racconta Franco, un passato da agente immobiliare, prima della disoccupazione.

– “In vita mia ho sempre lavorato. Affittavo e vendevo case. Peccato che con la crisi, ad un certo punto, si è iniziato a non vendere e a non affittare più nulla. Solo tante spese e tasse da pagare: Inps, Inail… E così, non mi è rimasto altro da fare che dichiarare il fallimento”.

– La sua è una storia come tante, fatta di innumerevoli sacrifici e bocconi amari da ingoiare, giorno dopo giorno. Una situazione di per sé difficile da sopportare da soli, figurarsi con l’aggravante di tre bambine piccole a carico.

 

“VIVIAMO LI’ DA 16 MESI ORMAI. MI SON COSTRUITO TUTTO IO” – A quel punto – prosegue il nostro interlocutore – per non lasciare mia moglie e le mie figlie in mezzo ad una strada, ho dovuto per forza prendere la decisione di occupare”.

– E così, individuata una palazzina popolare sfitta in zona Ripamonti e approfittando dell’assenza della lastra antisfondamento (quelle apposte dai Vigili del fuoco dopo gli sgomberi al fine di scongiurare nuove occupazioni), Franco ha preso possesso della sua attuale abitazione.

– “Si tratta di un appartamento situato al terzo piano e vuoto da 4 anni. Ormai, io e la mia famiglia siamo lì da 16 mesi e, ad oggi, mai nessuno è venuto a reclamare – dichiara il padre di famiglia -. Mi son fatto tutto io, mobili compresi, e la casa, ora, è vivibilissima, il frigorifero è sempre pieno e le mie figlie sono felicissime”.

 

I NUMERI DELL’ABUSIVISMO A MILANO NEL 2014 – Quella che si combatte a Milano per le case popolari è una vera e propria battaglia che gli abusivi portano avanti a suon di porte sfondate: 1.278, quelle buttate giù nel 2014, secondo gli ultimi dati a disposizione, in aumento di circa il 50 per cento rispetto all’anno scorso.

– Ad occupare, perlopiù, sono gli stranieri (954 i casi accertati), in maggioranza egiziani e romeni. Poi, a seguire, le altre nazionalità, con in testa la comunità marocchina. Per quanto riguarda i nostri connazionali, da inizio d’anno sono stati, si fa per dire, solo 324.

– Alla fine dei conti, su un patrimonio immobiliare Aler di circa 40.000 case popolari,  le occupazioni “consolidate” – ovvero, compiute da inquilini non regolari che decidono di occupare un appartamento in modo stabile – ad oggi sono 4.084 (nel 2012 erano 2.963).

 

LA MOROSITA’ INCOLPEVOLE – Un vero e proprio disastro sociale acuito anche dal numero sempre maggiore di sfratti per morosità (più di 10 mila le richieste esecutive nel 2013) ai danni di numerose famiglie in gravi difficoltà economiche.

– Si tratta della cosiddetta “morosità incolpevole”, di cui sono vittime sacrificali centinaia di nuclei familiari che, oggettivamente, non sono più in grado di saldare i propri affitti. Un’emergenza che, tempo fa, ha spinto la Regione Lombardia ad istituire un Fondo speciale “finalizzato all’integrazione del canone di locazione ai nuclei familiari in situazione di grave disagio economico e sostegno delle morosità incolpevoli”.

 

QUEI 5.000 APPARTAMENTI SFITTI – Ad alimentare l’abusivismo, come se non bastasse, contribuiscono anche quei 5mila (ma alcune fonti sindacali parlano addirittura di 7mila) appartamenti popolari sfitti che Aler dice di non riuscire a riassegnare per mancanza di risorse.

– “Ma vi pare normale – fa notare Franco – che Aler e il Comune di Milano lascino vuote delle case sfitte, in alcuni casi anche da 15-20 anni, in una zona come via Ripamonti, che in alcuni tratti dista dal Duomo di Milano un solo chilometro? Per quel che mi riguarda è vergognoso. Io sarei disposto anche a pagare il giusto per la mia abitazione, quello che mi spetta, ma loro se ne fregano, senza tener conto che qui c’è gente in mezzo a una strada”.

– La verità, però, ad un’analisi più approfondita, risulta  meno scontata. Ogni abitazione, infatti, quando ritorna sfitta, abbisogna di circa 15 mila euro per essere risistemata e, quindi, intestata al nuovo assegnatario. Peccato che l’alta morosità degli affittuari (circa un terzo del totale, per un buco di 60 milioni di euro solo per il 2013) non permetta all’Azienda residenziale lombarda di incamerare le necessarie risorse. Un circolo vizioso che finisce con l’alimentare un fenomeno dalle proporzioni di anno in anno più allarmanti.

 

“DIETRO TUTTO QUESTO C’E’ UNA MAFIA ORGANIZZATA” – “E’ pazzesco che debba essere io a sentirmi in torto con lo Stato – incalza Franco – quando, con una bimba sordomuta e invalida al 100% per un grave ritardo mentale, dall’Inps percepiamo il ridicolo importo di 240 euro, mentre i finti invalidi si intascano 800 euro al mese e stanno anche meglio di noi”.

– Come se non bastasse, oltre il danno la beffa di quell’assegnazione mai arrivata: “Sono un cittadino italiano che da 22 anni vive a Milano. Otto anni fa ho fatto regolare richiesta per un alloggio. E cos’è cambiato finora? Nulla. Ad oggi, nel 2014, mi ritrovo ad essere un abusivo. E’ pazzesco. La casa è la vita di ognuno di noi e restare sotto i ponti non è bello per nessuno”.

– Tuttavia, la grossa paura di Franco, in realtà, è una sola: “Che una volta che l’Aler ci butterà fuori, i nostri figli possano finire in comunità o essere assegnati a case famiglia. Ho sempre portato rispetto alle istituzioni, ma i miei figli sono miei e di mia moglie e rimarremo insieme a noi per sempre. Neanche il presidente della Repubblica in persona me lo impedirà”.

– E poi punta il dito: “In base alla legge 104 ho diritto ad un alloggio ma lo sapete qual è la verità? Che dietro tutto questo c’e una mafia organizzata. All’interno delle case popolari dove abito io su 10 case 7 sono occupate da egiziani e a noi italiani, invece, tocca rimanere a guardare”.

 

IL RACKET DELLE OCCUPAZIONI – Che dietro l’occupazione delle case popolari ci sia un vero e proprio racket non è più un segreto. Si tratta di una nuova mafia nascente che lucra sulla miseria e la disperazione,  cavalcando e alimentando il disfacimento del tessuto sociale.

– Il meccanismo dietro questo lucroso giro d’affari, in realtà, è molto semplice. Le abitazioni popolari sfitte (ma anche occupate) vengono segnalate ai futuri occupanti direttamente dalle associazioni criminali che controllano i vari quartieri. Per il “favore”, basta sganciare qualche centinaio di euro. Nel servizio è compreso anche l’abbattimento della porta. Una volta preso possesso dei locali, si cambia la serratura. Questo metterà al sicuro anche dal ritorno dell’eventuale legittimo proprietario assente al momento dell’irruzione.

 

LA GUERRA TRA POVERI – Una guerra al massacro tra poveri, che sta mettendo gli ultimi contro i penultimi. Il Comune di Milano sta cercando di metterci una pezza con un cospicuo programma di sgomberi, ma una vera soluzione, all’orizzonte, ancora non si vede.

–  “Io non sono razzista – conclude Franco alludendo alla massiccia presenza straniera nelle case Aler -, ma mi sento discriminato. E chissà in quanti si trovano nella mia situazione. Vorrei solo che chi ordina gli sgomberi si mettesse nella mia situazione anche per soli 10 minuti. Così, per capire che cosa si prova”.

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S.P.

 

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